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Depressione

Nonostante la psichiatria la consideri come una categoria diagnostica, per la psicoanalisi la depressione è piuttosto un insieme di manifestazioni transnosografiche che possono essere osservate in diverse strutture e tipologie cliniche.

Il sintomo depressivo è caratterizzato, secondo Lacan, da due affetti [1] principali, quali il dolore di esistere e la tristezza. Il primo delinea una sofferenza legata alla difficoltà del soggetto - spesso relegato in posizione di scarto - di darsi un senso. Il secondo affetto, invece, collegandosi al desiderio, sottolinea una mancanza, declinata sul versante della rinuncia.

Lacan fa della tristezza il destino specifico di colui che abdica al dovere di ritrovarsi nell’inconscio [2], considerandola non come uno stato d’animo ma come uno stato morale, una viltà morale. Colloca in questo modo la tristezza nel campo dell’etica. “[…] una colpa, quindi un peccato, che non si situa che nel pensiero. […] Nell’affermazione di depressione c’è di fatto sempre di più della sola dimensione affettiva […] è qualcosa che tocca l’animazione stessa del soggetto e che immancabilmente si ripercuote, a livello delle sue imprese, in effetti di inerzia che, al di là della coloritura del sentimento, toccano il principio medesimo dell’interesse e dell’azione. Si sarebbe tentati di concludere che si parla di depressione quando la tristezza è passata all’atto, all’atto di inibire il dinamismo della volontà, ma vorrebbe dire misconoscere che la tristezza non è essa stessa che un effetto e che occorre cercare altrove la causa di questa deflazione libidica che lascia il soggetto non solo triste, ma senza risorse”.[3]

Dunque, lo stato depressivo, per essere diagnosticato, necessita, oltre alla definizione dell’affetto, che ci sia l’inibizione della volontà come risultante di una deflazione libidica la cui causa può essere ricercata attraverso il lavoro psicoanalitico.

Tra i due affetti citati, la tristezza può essere quindi interpretata come punto di incertezza di fronte al desiderio, il sintomo di colui che si allontana da ciò che lo determina e che si mostra, in quanto effetto della rinuncia, nel soggetto che assume una posizione passiva di fronte al conflitto inconscio e una chiusura di fronte alle conseguenze del suo desiderio. In altre parole, il soggetto, rifugiandosi a volte – pagando un prezzo per questo - nell'affetto della tristezza, elude ciò che effettivamente lo produce e quindi si ritrae dal desiderio. Quindi possiamo dire che, in realtà, la tristezza nasconde, sotto la sua maschera incerta, la rinuncia a conoscere l'inconscio: in effetti il soggetto nasconde ed evita allo stesso tempo di poter affrontare la causa del suo desiderio. Secondo C.Soler, si tratta della “[…] messa in sospensione della causa del desiderio; dove l’inappetenza apatica e dolorosa che chiamiamo depressione trova la sua condizione strutturale essenziale nella caduta della propria efficacia. In tal modo parlare di depressione non vuol dire nient’altro che prendere questa causa del desiderio al rovescio, dal lato dei suoi scacchi o delle sue vacillazioni”.[4]

Quando la causa del desiderio vacilla, spesso il godimento prende piede. Per questo lo stato depressivo può essere considerato un modo di godimento, perché rende inoperativo il desiderio come difesa rispetto al godimento stesso.

Nel lavoro clinico è importante distinguere, attraverso le coordinate che abbiamo delineato, la semplice lamentela dalla depressione, a partire dal presupposto che l’una non implica l’altra. Quando il racconto del paziente è accompagnato dal pianto ricorrente – effetto di corpo - e l’affetto di tristezza sembra prevalere rispetto agli altri affetti, si può rischiare diagnosticare una depressione senza che ci sia una effettiva deflazione libica ad immobilizzare il soggetto. Nel lavoro clinico è dunque necessario tenere conto del presupposto secondo cui la depressione non è una categoria diagnostica ma un sintomo e, a partire da questo, inquadrare il pianto e la lamentela come effetti di un godimento del corpo nevrotico che si difende dal desiderio o come segnali di uno stato depressivo più avanzato che sfocia nella melancolia.

[1] L'affetto è un indice del Reale, è quel che rimane anche se i significati che lo ancorano sono rimossi.

[2] Soler C., 2005. Quel che Lacan diceva alle donne, cit., p. 75

[3] Ibidem, p. 76

[4] Ibidem, p. 77

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